Mi si è presentato il caso di due coniugi, separati solo di fatto e in separazione dei beni, nel quale il marito, locatore insieme alla moglie dell’appartamento in comproprietà, ha unilateralmente inviato formale disdetta all’inquilino.
Il fine è quello di rientrare in possesso dell’immobile da destinare in comodato al figlio ma la moglie, non titolare di assegno di mantenimento alcuno e priva di redditi propri, si troverebbe a perdere l’unica fonte di reddito costituita dal 50% del canone di locazione; ha quindi manifestato il proprio dissenso.
Il comportamento tenuto dal marito, comunista, sconta l’opposizione della moglie quindi la disdetta perde efficacia.
È principio consolidato in giurisprudenza che nel contratto di locazione, quando la parte locatrice è costituita da più locatori, ciascuno di essi è tenuto, dal lato passivo nei confronti del conduttore alla medesima prestazione; così come dal lato attivo, ognuno degli stessi può agire nei riguardi del locatario per l’adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi la disciplina della solidarietà ex art. 1292 c.c., senza però che si determini la nascita di un litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c. (Cass., Sez. Un., 4 luglio 2012 n. 11135).
Quindi, quando si verifica il caso di comproprietà di un bene, qualora uno dei compartecipanti alla comunione compia un atto di ordinaria amministrazione, anche consistente in un negozio giuridico o un’azione giudiziale, come l’agire per finita locazione nei confronti dei conduttori della cosa comune, la presunzione del consenso ex art. 1105 c.c. può essere superata dimostrando l’esistenza del dissenso degli altri comunisti per una quota maggioritaria o eguale della comunione, senza che per tale dissenso vi sia deliberazione espressa.
Pertanto, in tema di tutela del diritto di comproprietà vige il principio dei pari poteri gestori in capo a tutti i comproprietari e pertanto ciascuno di essi è legittimato agire contro chi vanti diritti di godimento sul bene, tale che il consenso di ciascuno all’iniziativa giudiziaria per tutelare gli interessi comuni si presume; salvo dare la prova contraria del dissenso della maggioranza ed in tal caso è necessario il preventivo intervento dell’autorità giudiziaria.
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