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DECRETO 3 febbraio 2023 Adeguamento dei limiti di reddito per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. (23A02368) (GU Serie Generale n.94 del 21-04-2023)

Il Ministero della Giustizia, con decreto del 3 febbraio 2023, ha adeguato il limite di reddito per l’ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato, fissandolo ad € 11.734,93 realizzando, di fatto, una diminuzione del tetto rispetto alla soglia precedente di € 11.746,68. L’Organismo Congressuale Forense ha inviato al Ministero una richiesta di adeguamento -parametrata sull’aumento dei prezzi del biennio 2020-2022 finalizzata alla realizzazione della effettiva tutela dei propri diritti avanti la giurisdizione della Repubblica a persone che, allo stato, versano in stato di difficoltà economica.
Si riporta il testo del decreto:

IL CAPO DEL DIPARTIMENTO
PER GLI AFFARI DI GIUSTIZIA
del Ministero della giustizia

di concerto con

IL RAGIONIERE GENERALE DELLO STATO
del Ministero dell’economia e delle finanze

Visto l’art. 76 del Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia, approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, che fissa le
condizioni reddituali per l’ammissione al patrocinio a spese dello
Stato;
Visto l’art. 77 del citato Testo unico, che prevede l’adeguamento
ogni due anni dei limiti di reddito per l’ammissione al patrocinio a
spese dello Stato in relazione alla variazione, accertata
dall’Istituto nazionale di statistica, dell’indice dei prezzi al
consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatesi nel
biennio precedente, da effettuarsi con decreto dirigenziale del
Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia
e delle finanze;
Visto il decreto interdirigenziale emanato in data 23 luglio 2020
dal Capo del Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero
della giustizia, di concerto con il Ragioniere generale dello Stato
del Ministero dell’economia e delle finanze, registrato alla Corte
dei conti in data 11 gennaio 2021, con il quale, con riferimento alla
variazione del citato indice dei prezzi al consumo verificatasi nel
periodo dal 1° luglio 2016 al 30 giugno 2018, e’ stato fissato in
euro 11.746,68 l’importo previsto dall’art. 76, comma 1, del citato
Testo unico per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
Ritenuto di dover adeguare il predetto limite di reddito in
relazione alla variazione del medesimo indice dei prezzi al consumo
verificatasi nel periodo dal 1° luglio 2018 al 30 giugno 2020;
Rilevato che, in tale biennio, dai dati accertati dall’Istituto
nazionale di statistica risulta una variazione in diminuzione
dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e
impiegati pari allo 0,1%;

Decretano:

L’importo indicato nell’art. 76, comma 1, del decreto del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e’ aggiornato ad
euro 11.734,93.
Il presente decreto verra’ inviato agli organi di controllo e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

Roma, 3 febbraio 2023

Il Capo del Dipartimento
per gli affari di giustizia
Russo
Il Ragioniere generale
dello Stato
Mazzotta

Registrato alla Corte dei conti il 17 aprile 2023
Ufficio di controllo sugli atti della Presidenza del Consiglio, del
Ministero della giustizia e del Ministero degli affari esteri, reg.
n. 1064

FORSE NON TUTTI SANNO CHE…

LA GARANZIA LEGALE PER L’ACQUISTO DI UN BENE NUOVO O USATO

Il Codice del Consumo (Dl. lgs 6 settembre 2005 n. 206) che disciplina le tutele del consumatore per l’acquisto dei beni di consumo, è stato innovato dal D.lgs 170 del 4 novembre 2021 in attuazione della Direttiva UE 2019/771 sulla vendita dei beni e dette nuove disposizioni si applicano ai nuovi contratti stipulati dopo il 1^ gennaio 2022.

In primo luogo è stato profondamente modificato il contenuto dell’art. 128 ampliando la portata di applicabilità della norma nonché le definizioni.

Si segnala, in particolare, la NON applicabilità della normativa ai beni oggetto di vendita forzata o venduti dalle autorità giudiziarie (ad esempio gli immobili venduti all’asta). Quanto alle forniture di contenuti digitali o servizi digitali, si applicano le disposizioni di attuazione della Direttiva UE 2019/770.

Le stesse norme si applicano anche ai beni usati tenuto conto del tempo del pregresso utilizzo, limitatamente ai difetti non derivanti dall’uso normale della cosa anche nel caso in cui siano venduti ina ste pubbliche qualora non siano state messe a disposizione del consumatore informazioni chiare e complete circa la inapplicabilità delle disposizioni del codice del consumo nel capo che interessa.

La durata della garanzia è stata mantenuta in 2 anni che decorrono dal momento in cui il difetto di conformità si è manifestato; la novità è rappresentata però dal fatto di non essere più previsto un termine di decadenza per la denuncia dei difetti al venditore (prima obbligatoria nel termine di 2 mesi dalla data in cui il difetto era scoperto) ma solo un termine di prescrizione dell’azione diretta a far accertare i difetti non dolosamente occultati deve essere esercitata (termine di prescrizione dell’azione) ossia 26 mesi dalla CONSEGNA DEL BENE. (art. 133 nuovo testo).

È previsto che, nel caso di beni usati, le parti possano limitare la durata della responsabilità del venditore e il termine di prescrizione ad un periodo di tempo non inferiore ad un anno.

Altre novità riguardano l’introduzione del capo I bis relativo ai contratti di fornitura di contenuto digitale e servizi digitali, con specifica indicazione dell’ambito di applicazione e definizioni, esclusioni, rimedi per i difetti e la mancata fornitura, responsabilità del professionista, diritto di regresso etc..

È stato discusso nella seduta del 23 febbraio 2023 il Decreto Legislativo finalizzato a mettere in campo strategie di contrasto alle insidie proprie degli attuali metodi di contrattazione a distanza (on line), caratterizzati dalla mancanza di contatti interpersonali diretti tra venditori (o fornitori di servizi) e i consumatori. 

Il suddetto testo è stato pubblicato come DECRETO LEGISLATIVO 7 marzo 2023, n. 26 

Attuazione della direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio e le direttive 98/6/CE, 2005/29/CE e 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori. (23G00033) (GU Serie Generale n.66 del 18-03-2023)

Con entrata in vigore del provvedimento al 02/04/2023.

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/03/18/23G00033/sg

IL NUOVO CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA ED INSOLVENZA – IL PIANO DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI DEL CONSUMATORE

Si pubblica la recentissima sentenza resa dal Tribunale di Modena che omologa il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore che abbiamo predisposto in favore di due clienti dello studio.

Come noto la cd. Legge “salvaisuicidi” è stata recentemente modificata e ha portato alla emanazione del Codice della Crisi di Impresa (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 modificato, da ultimo, dalla L. n. 79/2022) che, al capo II, dall’art. 65, regola la procedura delle crisi da sovraindebitamento, di fatto consentendo al consumatore, che si trovi nelle condizioni previste dalla legge, di ristrutturare la propria posizione debitoria.

Il caso era quello di una famiglia prevalentemente monoreddito che, dovendo sostenere le spese correnti, aveva fatto ricorso al credito; inzialmente potendo fare affidamento anche sugli stipendi derivanti dai lavori saltuari svolti dalla figlia, poi trovando in concrete difficoltà nell’adempimento dei debiti via via contratti.

Nell’ultimo periodo si era fatto ricorso al credito per estinguere precedenti finanziamenti fino ad arrivare alla cessione del quinto dello stipendio; a ciò, poi, si era aggiunto il pignoramento di ulteriore quinto dello stipendio del capofamiglia da parte di una delle finanziarie creditrici.

Con l’aiuto dell’OCC designato, è stato presentato un piano di ristrutturazione ritenuto confacente dal Tribunale che lo ha omologato.

TANTI COMPROPRIETARI, UNA LOCAZIONE.

Mi si è presentato il caso di due coniugi, separati solo di fatto e in separazione dei beni, nel quale il marito, locatore insieme alla moglie dell’appartamento in comproprietà, ha unilateralmente inviato formale disdetta all’inquilino.

Il fine è quello di rientrare in possesso dell’immobile da destinare in comodato al figlio ma la moglie, non titolare di assegno di mantenimento alcuno e priva di redditi propri, si troverebbe a perdere l’unica fonte di reddito costituita dal 50% del canone di locazione; ha quindi manifestato il proprio dissenso.

Il comportamento tenuto dal marito, comunista, sconta l’opposizione della moglie quindi la disdetta perde efficacia.

È principio consolidato in giurisprudenza che nel contratto di locazione, quando la parte locatrice è costituita da più locatori, ciascuno di essi è tenuto, dal lato passivo nei confronti del conduttore alla medesima prestazione; così come dal lato attivo, ognuno degli stessi può agire nei riguardi del locatario per l’adempimento delle sue obbligazioni, applicandosi la disciplina della solidarietà ex art. 1292 c.c., senza però che si determini la nascita di un litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c. (Cass., Sez. Un., 4 luglio 2012 n. 11135).

Quindi, quando si verifica il caso di comproprietà di un bene, qualora uno dei compartecipanti alla comunione compia un atto di ordinaria amministrazione, anche consistente in un negozio giuridico o un’azione giudiziale, come l’agire per finita locazione nei confronti dei conduttori della cosa comune, la presunzione del consenso ex art. 1105 c.c. può essere superata dimostrando l’esistenza del dissenso degli altri comunisti per una quota maggioritaria o eguale della comunione, senza che per tale dissenso vi sia deliberazione espressa.

Pertanto, in tema di tutela del diritto di comproprietà vige il principio dei pari poteri gestori in capo a tutti i comproprietari e pertanto ciascuno di essi è legittimato agire contro chi vanti diritti di godimento sul bene, tale che il consenso di ciascuno all’iniziativa giudiziaria per tutelare gli interessi comuni si presume; salvo dare la prova contraria del dissenso della maggioranza ed in tal caso è necessario il preventivo intervento dell’autorità giudiziaria.

CONDOMINIO: ancora sul distacco dal riscaldamento centralizzato

Si moltiplicano le sentenze di merito che fanno chiarezza sui diritti ed obblighi del condomino che intenda distaccarsi dall’impianto di riscaldamento centralizzato.

Vediamone alcune.

Tribunale Torino sez. VIII, 28/06/2021, n.3265

In tema di distacco dal sistema di riscaldamento centralizzato nei condomini possono essere individuate tre ipotesi:

a) distacco unilaterale, quando l’interessato abbia dimostrato che dal distacco non siano derivati né aggravi di spese per i residui fruitori dell’impianto, né squilibri termici pregiudizievoli della regolare erogazione del servizio;

 b) autorizzazione dell’assemblea dei condomini al distacco, eventualmente modificando gli obblighi gravanti sui compartecipi in base al regolamento di condominio;

c) possibilità di distacco espressamente consentita dal regolamento di condominio.

Non è quindi necessaria la delibera assembleare che autorizzi preventivamente il singolo condomino al distacco quando questi faccia valere l’ipotesi di cui alla lettera a) di distacco nella ricorrenza dei presupposti tecnici richiesti dalla legge.

La posizione del condòmino che si sia distaccato dall’impianto centrale di riscaldamento e la sua partecipazione alle spese vanno così riassunte:

egli partecipa alle spese di manutenzione e conservazione dell’impianto in quanto comproprietario ex art. 1123 c.c.;

non partecipa alle spese di utilizzo del riscaldamento nella parte riferibile alla quota volontaria e involontaria in quanto distaccato nella ricorrenza dei presupposti dell’art. 1118 ultimo comma c.c.. Conseguentemente va esonerato dalle spese di riscaldamento diverse da quelle di manutenzione e conservazione.

Fonte:

Redazione Giuffrè 2021

Al contrario: secondo il Tribunale di Genova sez. III, 13/01/2021, n.34 qualora si accerti, a seguito del distacco, a mezzo di idonea consulenza tecnica d’ufficio, uno squilibrio in tema di consumo involontario, questo dovrà comunque essere a carico anche del distaccato.

Il condomino può legittimamente rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dell’impianto comune, senza necessità di autorizzazione o approvazione da parte degli altri condomini, se prova che dal distacco non derivano né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell’intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del servizio.

Soddisfatta tale condizione, egli è obbligato a pagare soltanto le spese di conservazione dell’impianto di riscaldamento centrale, mentre è esonerato dall’obbligo del pagamento delle spese per il suo uso.

Per contro, in relazione all’accertamento di un eventuale aggravio di spesa a carico degli altri condomini conseguente al distacco operato dagli attori T.A., T. S. e M.G., il ctu ha osservato nella propria relazione che “il distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento operato dagli intt. 14-15-16 comporta un aggravio di spese per i restanti utenti rimasti allacciati qualora gli utenti distaccati non partecipino alle spese di consumo associate alle perdite passive dell’impianto ed alle spese di manutenzione“.

Alla luce delle osservazioni del Ctu, che la scrivente ritiene adeguatamente motivate nonché pienamente condivisibili deve, pertanto, concludersi che il distacco operato dagli attori possa essere ritenuto legittimo solo ed esclusivamente nella misura in cui gli stessi, oltre che partecipare alle spese di manutenzione dell’impianto, si facciano carico delle spese di consumo associate alle perdite passive dell’impianto che, ad oggi, alle luce della normativa vigente corrispondono alla parte relativa ai consumi involontari di combustibile.

Invero non tutto quanto viene speso in termini di energia primaria (combustibile) è dipendente dall’effettivo utilizzo dell’impianto: infatti una quota parte della stessa viene spesa solo per compensare le dissipazioni energetiche che sono inevitabilmente connesse al processo. Ed è appunto tale quota relativa alle dissipazioni energetiche che deve essere ripartita tra tutti i condomini indipendentemente dall’effettivo utilizzo dell’impianto centralizzato, ivi compresi i condomini distaccatisi: operando diversamente infatti si avrebbe un pregiudizio economico per i condomini rimasti allacciati”.

Tribunale Venezia sez. I, 26/07/2021, n.1506

Obblighi contributivi del condòmino in caso di distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato

Ogni condòmino può distaccare le diramazioni della propria unità immobiliare dall’impianto termico centralizzato, senza necessità di autorizzazione od approvazione dell’assemblea, purché il suo distacco non comporti un notevole squilibrio di funzionamento dell’impianto, né un aggravio di spesa per gli altri condomini. A ciò aggiungasi che il condomino che abbia provveduto a distaccarsi è comunque tenuto al pagamento delle spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma.

Fonte:

Redazione Giuffrè 2021

Tribunale Cosenza sez. I, 19/07/2021, n.1657

Rinuncia o distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato nei condomini

In tema di condominio negli edifici, è valida la clausola del regolamento contrattuale che, in ipotesi di rinuncia o distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato, ponga, a carico del condomino rinunciante o distaccatosi, l’obbligo di contribuzione alle spese per il relativo uso in aggiunta a quelle, comunque dovute, per la sua conservazione, potendo i condomini regolare, mediante convenzione espressa, adottata all’unanimità , il contenuto dei loro diritti ed obblighi e, dunque, ferma l’indisponibilità del diritto al distacco, suddividere le spese relative all’impianto anche in deroga agli artt. 1123 e 1118 c.c., a ciò non ostando alcun vincolo pubblicistico di distribuzione di tali oneri condominiali dettato dall’esigenza dell’uso razionale delle risorse energetiche e del miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale.

Fonte:

Redazione Giuffrè 2021

Ammissibili, in sede di separazione consensuale o divorzio congiunto, gli accordi attuativi di un trasferimento immobiliare

Con una recentissima pronuncia (riportata di seguito nella massima tratta dal portale DeJure) la Cassazione ha (finalmente) (ri)ammesso la previsione dei trasferimenti immobiliari in sede di procedimento di separazione o divorzio consensuali, seppure con qualche specifico adempimento….

Cassazione civile sez. un., 29/07/2021, n.21761

Sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento; il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della l. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c.; la validità dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla l. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis; non produce nullità del trasferimento, il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformità con le risultanze dei registri immobiliari.

Fonte:Diritto & Giustizia 2021, 30 luglio (nota di: Katia Mascia Avvocato Cassazionista)

Forse.. non tutti sanno che:

L’art. 712 del C.p.c. riguarda il contenuto della domanda per interdizione o inabilitazione – che si propongono con ricorso al tribunale del luogo dove la persona nei confronti della quale è proposta ha residenza o domicilio, stabilisce che in esso debbano essere esposti i fatti sui quali la domanda è fondata e indicati il nome e cognome e la residenza del coniuge o del convivente di fatto, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado e, se vi sono, del tutore o curatore dell’interdicendo o dell’inabilitando.

La legge sulle Unioni Civili, al comma 47 dell’articolo 1 della l. 20 maggio 2016, n. 76, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 21 maggio 2016, nel modificare l’articolo 712, comma 2, ha disposto il riconoscimento a ciascun convivente di fatto di essere indicato nella domanda per l’interdizione o inabilitazione del partner.

BONUS VACANZE NON UTILIZZATO: ATTENZIONE ALLE TRUFFE

Con un recentissimo Comunicato Stampa, l’Agenzia delle Entrate ha fornito qualche suggerimento per difendersi da una delle ultimissime truffe che circolano in rete, sui social ossia l’offerta di trasformare in denaro il bonus vacanze che il cittadino non abbia ancora utilizzato ma che abbia già attivato attraverso l’app IO.

Comunicato stampa – Agenzia delle Entrate – 30 dicembre 2020 – n. 88/E

Alcuni cittadini hanno segnalato account o banner che pubblicizzano offerte turistiche particolarmente convenienti e che, una volta ottenuti il codice fiscale del cittadino e il codice univoco (o il QRcode) del Bonus vacanze, vengono chiusi e “scompaiono” dal web.

In realtà, si tratta di vere e proprie truffe ai danni di cittadini, il cui bonus viene “bruciato” e non può più essere utilizzato né rigenerato in alcun modo.

Le regole base per evitare le truffe:

L’Agenzia delle entrate, il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e PagoPA SpA, hanno già avviato le verifiche opportune e invitano i cittadini alla massima cautela e a utilizzare l’agevolazione come espressamente previsto dalle norme.

Si rammenta che il bonus e gli altri dati devono essere comunicati al fornitore del servizio turistico solo al momento dell’effettivo pagamento dell’importo dovuto per la vacanza.

Infatti, il componente del nucleo familiare che intende fruire del bonus deve comunicare al fornitore il codice univoco (o esibire il QR-code), insieme con il proprio codice fiscale, che sarà riportato sulla fattura o documento commerciale emesso a fronte del pagamento.

A questo punto, il fornitore verifica la validità del bonus inserendo il codice univoco, il codice fiscale del cliente e l’importo del corrispettivo dovuto nell’apposita procedura web disponibile nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate e, in caso di esito positivo del riscontro, può confermare a sistema l’applicazione dello sconto.

Da questo momento l’agevolazione si intende interamente utilizzata.

L’Agenzia sottolinea che qualunque diverso utilizzo dei dati relativi al bonus vacanze non è consentito.

LA REGISTRAZIONE DEL MARCHIO

Lo studio si occupa anche di registrazione di marchi.

La nuova procedura, interamente telematica, è abbastanza semplice.

In alternativa è possibile presentare la domanda cartacea tramite le Poste o la Camera di Commercio.

La procedura di registrazione telematica, certamente preferibile, deve essere attivata – previa registrazione, sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico, nell’apposita sezione dedicata.

Chi può registrare un marchio? Chiunque può registrare un marchio.

Persona fisiche, persona giuridiche, associazioni, enti, compresi i minorenni, anche stranieri purché domiciliati in uno dei Paesi UE.

Possono essere titolari di un marchio anche più soggetti.

La domanda può essere presentata direttamente o attraverso un intermediario.

L’avvocato iscritto all’ordine è qualificato come “rappresentante” del titolare del marchio.

Egli deve essere munito di apposita procura o lettera di incarico che dovrà poi essere allegata ai documenti richiesti in sede di registrazione.

La lettera d’incarico è soggetta all’imposta di bollo e deve essere scritta su carta semplice senza alcuna legalizzazione o autenticazione.

L’incarico non è soggetto ad imposta di bollo se la registrazione avviene in via telematica; in caso di deposito cartaceo l’imposta di bollo è dovuta nella misura di € 16,00.

Cosa si intende per “marchio” e cosa può essere registrato?

Il marchio è un “segno” usato per identificare i prodotti/servizi di una impresa e distinguerli da quelli della concorrenza.

Possono costituire oggetto di registrazione come marchio  tutti i segni: parole (compresi i nomi di persone), disegni, lettere, cifre, suoni, forma del prodotto o della confezione di esso, combinazioni o tonalità cromatiche purché siano atti: a) a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa  da  quelli di altre imprese;  b)  ad  essere  rappresentati  nel  registro  in  modo  tale   da consentire alle autorità competenti ed al  pubblico  di  determinare con chiarezza e precisione l’oggetto della  protezione  conferita  al titolare.». (art.7 CPI – Codice della proprietà Industriale).

Non possono essere registrati, invece:

Ritratti di persone, nomi e segni notori se non è prestato il consenso

Stemmi, bandiere ed altri simboli che rivestono interesse pubblico;

Marchi contenenti parole, figure o segni con significazione politica o di alto valore simbolico, o contenente elementi araldici;

Stemmi di partiti politici;

Segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume (ai sensi del Codice Penale e delle leggi penali);

Indicazioni geografiche (artt. 29-30 CPI);

Riproduzioni di opere d’arte o di beni culturali;

Il marchio può essere:

  • marchio denominativo, che è costituito solo da parole;
  • marchio figurativo, che consiste in una figura o in una riproduzione di oggetti reali o di fantasia. Ai fini del deposito si considera figurativo anche il marchio misto (composto da parole e elementi figurativi);
  • marchio di forma o tridimensionale, che è costituito da una forma tridimensionale e che può comprendere i contenitori, gli imballaggi, il prodotto stesso o il loro aspetto;
  • marchio sonoro che è costituito esclusivamente da un suono o da una combinazione di suoni;
  • marchio di movimento, caratterizzato da un cambiamento di posizione degli elementi del marchio;
  • marchio multimediale è costituito dalla combinazione di immagine e di suono;
  • marchio a motivi ripetuti;
  • marchio di posizione;
  • marchio olografico, costituito da elementi con caratteristiche olografiche.

Prima di registrare il marchio occorre fare una specifica ricerca per verificarne la novità.

La ricerca può effettuarsi tramite le apposite banche dati anche europee.

Nel registrare il marchio occorre poi individuare la classe a cui appartiene.

La tutela del marchio registrato inizia a decorrere dalla data di deposito della domanda (cioè la data di pagamento dei diritti tramite il modello F24 o Pago PA).

La durata della registrazione è decennale e in caso di rinnovo gli effetti decorrono dalla data di scadenza della registrazione precedente.

Quanto costa registrare un marchio?

I costi per la registrazione sono diversi a seconda del numero di classi che si vogliono utilizzare e a seconda della modalità (telematica o cartacea).

La tassa di registrazione per il marchio di impresa, comprensiva di una classe è di € 101,00; oltre € 34,00 per ogni classe aggiunta.

L’imposta di bollo per la registrazione telematica è di € 42,00.

Per il rinnovo del marchio la tassa è di € 67,00 oltre ad € 34,00 per ogni classe aggiunta.

Come detto la lettera di incarico nella registrazione telematica non è soggetta ad imposta mentre è sempre soggetta alla tassa di concessione governativa pari ad € 34,00.

Avvocato Chiara Maestri